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I cani di canile sono più pessimisti dei cani che vivono in famiglia. Ma è davvero così?

E' stato pubblicato sulla rivista internazionale Plos One lo studio dell’Università di Parma in collaborazione con la Queen’s University di Belfast "Using judgment bias test in pet and shelter dogs (Canis familiaris): Methodological and statistical caveats".

Per l'Università di Parma lo studio è stato realizzato da Paola Valsecchi e Carlotta Burani del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale e da Annalisa Pelosi del Dipartimento di Medicina e Chirurgia.

Il fenomeno dei bias cognitivi riguarda l’influenza degli stati emotivi sulle funzioni cognitive. In particolare, il bias di giudizio è relativo all’ interpretazione in senso ottimistico o pessimistico di uno stimolo ambiguo e sconosciuto. Lo strumento che viene comunemente utilizzato per valutare ottimismo/pessimismo negli animali, umani e non, è chiamato judgment bias test (JBT). 
Il JBT è stato utilizzato molte volte con il cane (Canis familiaris): in una prima fase, al cane viene data la possibilità di avvicinarsi ad una ciotola posta alternativamente in due posizioni, P (positiva) ed N (negativa); in P la ciotola contiene una ricompensa alimentare, in N la ciotola è vuota. Una volta che il cane ha imparato a riconoscere il diverso valore delle due posizioni, la ciotola viene posta in posizioni spazialmente intermedie rispetto a P ed N; la latenza a raggiungere la ciotola in queste posizioni è un indice dell’aspettativa ottimistica/pessimistica del soggetto.
I risultati degli studi presenti in letteratura non sono però del tutto coerenti tra loro e la relazione tra stato emotivo e bias di giudizio nel cane non è stata al momento del tutto verificata.  

Il focus dello studio appena pubblicato su Plos One è stato quindi analizzare nel dettaglio il classico paradigma del JBT, confrontando la performance di 51 cani di canile e di 40 cani di proprietà. Come previsto, i cani di canile sembrano essere più pessimisti dei cani di proprietà, ma i risultati hanno evidenziato diverse problematiche metodologiche. In primo luogo, una percentuale non trascurabile di cani non è riuscita a superare il training iniziale e a discriminare tra le posizioni P ed N. In secondo luogo, le risposte dei cani nei confronti delle posizioni P ed N non sono rimaste stabili nel corso del test, suggerendo che l’associazione tra stimoli certi e presenza/assenza di cibo non sia stata appresa in modo solido. Inoltre, i cani non sono stati in grado di distinguere totalmente tra posizioni adiacenti. Infine, le analisi suggeriscono che la presenza di un ricercatore nei pressi di una delle posizioni possa aver influenzato le decisioni dei cani.  
I risultati dunque indicano che cani che vivono in canile e cani che vivono in famiglia presentano un diverso atteggiamento verso stimoli sconosciuti, ma soprattutto mettono in luce l'urgenza di riconsiderare il paradigma sperimentale comunemente utilizzato. 

 

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